Nel mese di dicembre l’OMS ha pubblicato la quarta edizione del famoso Manuale di Biosicurezza in Laboratorio che ridisegna la terza edizione pubblicata nel 2004. Una delle monografie a supporto del BLM4 è dedicata alle cabine di sicurezza biologica e agli altri sistemi di contenimento primario del rischio biologico. Diamo quindi il benvenuto a questa monografia, come a tutti gli strumenti di informazione e formazione sull’uso in sicurezza dei dispositivi di protezione collettiva in laboratorio.
Le cabine di sicurezza biologica, note anche come cappe BioHazard, sono lo strumento più importante di protezione per tecnici e ricercatori contro i rischi derivanti dalla manipolazione di materiale biologico. L’attuale legislazione sulla salute e sicurezza sul lavoro, il D.Lgs. 81/08 e smi, in presenza di rischio biologico prevede l’obbligo di adozione di adeguati sistemi di protezione collettiva, come le cabine biohazard, e l’obbligo di informazione e di formazione mirata degli utilizzatori.
Rispetto alla terza edizione il Manuale di Biosicurezza in Laboratorio dell’OMS con questa monografia entra maggiormente nel dettaglio delle cabine biohazard e descrive alcuni dei sistemi di protezione primaria utilizzabili in laboratori, sistemi aperti e chiusi, ventilati o meno.
La monografia dedicata alle cappe BioHazard descrive le buone pratiche e le procedure per utilizzare in sicurezza questi importanti dispositivi di contenimento primario entrando nel dettaglio del principio di funzionamento, delle loro caratteristiche e destinazione d’uso, ma soprattutto ribadendo il concetto fondamentale che i dispositivi di protezione collettiva come le cabine biohazard migliorano la sicurezza del personale solo se vengono applicate e rispettate le buone pratiche di microbiologia, ben descritte nella sezione 3 del Laboratory Biosafety Manual.
La monografia introduce l’argomento con alcune importanti definizioni, tra cui quella di “Biosafety”, descritta come i principi, le tecniche e le attività che sono attuate per prevenire il rischio di esposizione accidentale agli agenti biologici o al loro rilascio in caso di incidente.
Sistema di contenimento primario viene definito come lo spazio delimitato destinato a creare una protezione all’operatore, all’ambiente e/o al prodotto in quelle attività in cui ci sia il rischio di generazione di aerosol pericolosi. La protezione è ottenuta segregando l’attività a rischio dall’ambiente laboratorio mediante il controllo e la direzione di flussi d’aria.
I sistemi di contenimento primario comprendono le cabine di sicurezza biologica (BSCs, Biological Safety Cabinets) , le cabine di aspirazione localizzata (sistemi aperti a tenuta dinamica), gli isolatori, i glove box le cappe(sistemi chiusi a tenuta statica). Per estensione del concetto al rischio chimico, sono dispositivi di protezione primaria le cappe da chimica ducted e ductless e gli armadi aspirati per sostanze chimiche e per infiammabili (se canalizzati all’esterno). I banchi sterile a flusso unidirezionale orizzontale e le cappe per biologia a flusso unidirezionale verticale (prive di filtro assoluto di exhaust) non sono considerabili come barriere primarie di protezione.
L’OMS conferma le tre classi di cabine di sicurezza microbiologica, la classe I, la classe II e la classe III, come la norma tecnica europea EN 12469:2001, ma amplia la classificazione della classe II adottando le cinque sottoclassi della norma tecnica americana National Sanitary Foundation NSF-ANSI 49:2016 per le cabine biohazard di classe II sulla base della dinamica interna di ventilazione e della percentuale di aria espulsa dalla cabina: tipo A1 (exh 30%), A2 (exh 30%), B1 (exh >50%), B2 (exh 100%) e C1 (exh >50%). Quest’ultima è una evoluzione delle cappe biohazard tipo B1, ancora poco diffusa, che offre la possibilità rispetto alla B1, di canalizzare all’esterno o riciclare in laboratorio l’aria filtrata espulsa e che consente l’utilizzo di modiche quantità di sostanze chimiche e di radionuclidi.
Seguono le raccomandazioni per operare in sicurezza nelle cabine biohazard, sia in termini di collocazione nel locale lontano da correnti d’aria, sia per quanto attiene alla manualità da adottare al fine di ridurre splash e aerosol. Vengono anche fatte alcune considerazioni aggiuntive per lavorare all’interno di isolatori e glove box.
L’accurata decontaminazione delle cappe biohazard viene raccomandata sia in fase liquida, soprattutto al termine delle singole attività e a fine giornata, sia in fase vapore o gas da effettuarsi prima di ogni intervento tecnico in area contaminata nella cappa, prima di rimuovere apparecchi e strumenti dal suo interno, prima di spostamento della cappa, nonché tra attività che comportino l’utilizzo di agenti patogeni diversi.
Un’ampia sezione viene dedicata al principio di funzionamento delle cappe, in particolare della ventilazione, alla filtrazione assoluta dell’aria, ai metodi di connessione della cappa biohazard al canale di espulsione che dovrebbe essere dedicato esclusivamente al laboratorio con aspiratore in posizione remota. Oltre alla connessione rigida (hard), viene ricordata la connessione aperta (timble o canopy) che aspira l’aria espulsa dalla cappa e quella proveniente dal locale, sistema che permette di mantenere in depressione il locale laboratorio anche se la cappa biohazard non è in funzione. Sempre a proposito della canalizzazione all’esterno dell’aria espulsa, viene ricordata l’importanza della serranda antivento (anti blow-back valve) posta a valle della cappa a protezione contro eventuali reflussi d’aria dovuti a improvvise variazioni ambientali esterne (es. causate dal vento).
Le tabelle per la selezione del sistema di contenimento primario più appropriato alla propria attività sono state ampliate anche con l’introduzione della cabina biohazard Classe II tipo C1. Migliorati di molto i disegni di flusso. Vengono descritte le varie tipologie di cappe biohazard, gli isolatori e vengono citati gli altri sistemi di protezione primaria sia aspirati sia statici, come le gabbie da stabulario ventilate, i glove box o le cappe portatili in film plastico per uso sul campo quando non sia possibile disporre di cappe biohazard.
L’adozione dei sistemi alternativi alle cappe biohazard richiedono l’analisi e la valutazione puntuale dei rischi per definire l’idoneità all’uso e l’eventuale necessità di garantire la sicurezza degli operatori tramite l’adozione di dispositivi di protezione individuale adeguati, come semimaschere o maschere a pieno facciale dotate di filtri assoluti.
Paolo A. Parrello-Direttore Centro di Formazione Aware Lab srl